La Fotometria visuale
La fotometria visuale è stato il primo metodo scientifico adottato per lo studio di stelle variabili. Sebbene ormai l’avvento delle nuove tecnologie, con la comparsa sul mercato di fotometri fotoelettrici e camere CCD a prezzi competitivi anche per amatori, sembrano aver preso il sopravvento, la tecnica visuale resta comunque quella che riscuote più successo.
Sicuramente non faremo alcun tipo di confronto tra le tecniche di osservazione elettroniche e quelle visuali, visto che comunque queste ultime ne uscirebbero svalutate, ma per ora basti sapere che, in ogni caso, la fotometria visuale resta un settore di ricerca molto proficuo per l’astrofilo.
Quali sono i vantaggi? Sicuramente il fatto che, effettuata una seduta osservativa, il trattamento dei dati raccolti risulta agevole anche con l’uso della sola calcolatrice tascabile; le osservazioni vengono eseguite in pochissimo tempo, permettendo all’osservatore di monitorare più oggetti nel corso della stessa notte, anche nel giro di qualche ora; la possibilità di eseguire osservazioni senza che le condizioni generali del campo interessato influiscano sui calcoli finali (se in una notte osserviamo in condizioni di ottima trasparenza, mentre la notte successiva con foschia, le formule risolutive non terranno conto di nessun coefficiente dovuto alle condizioni del cielo).
Per contro bisogna ammettere che, a causa del fatto che questo tipo
di osservazione presenta un errore assoluto a priori che si aggira sul
decimo di magnitudine, non è consigliabile seguire stelle che presentano
un’escursione inferiore a sei - sette decimi di magnitudine. Inoltre è
sconsigliabile studiare stelle che presentano periodi molto brevi (pochi
minuti) perché la curva di luce, una volta ottenuta, con ogni probabilità
risentirà dell’errore assoluto a priori caratteristico di ogni stima
rendendo il grafico alquanto caotico. Fortunatamente non vi sono molte
stelle telescopiche che presentano variazioni di questo tipo e di conseguenza
l’avventura si scoraggia da se.
Chi si accinge a questo tipo di osservazione sceglie le stelle che intende osservare, in genere, seguendo i seguenti criteri:
E’ chiaramente preferibile che il campo contenuto nella cartina di identificazione
dell’oggetto (caratteristica per ogni stella variabile), sia contenuta agevolmente dal campo
fornito dall’oculare adoperato.
Altri fattori possono in genere riguardare la posizione che si assume quando si osserva. Soprattutto se si seguono oggetti posti in prossimità dello zenit con un binocolo privo di prismi diagonali (solo i più grossi, in genere, ne possiedono) e non si dispone di una sedia con schienale reclinabile la posizione assunta dall’osservatore risulta davvero scomoda, e questo, anche se può sembrare una forzatura, il più delle volte influisce negativamente sulla bontà delle stima, visto che l’interessato, pur di liberarsi da quella scomoda posizione esegue una misura affrettata, che può non risultare quello che invece ci si aspetta o che si doveva realmente osservare.
In ogni caso chi si occupa di stelle variabili opera in modo che la scelta degli oggetti da studiare si adatti allo strumento che si possiede, e non viceversa. Quindi possiamo affermare che il miglior strumento, quello che meglio si adatta all’osservazione che ci si è prefissi, è sempre quello di cui si dispone.
Passiamo adesso a descrivere il metodo consigliato per l’osservazione delle stelle variabili. Poiché il metodo di Argelander (quello che, appunto, descriveremo) non è il solo esistente, la scelta di discutere solo questo potrebbe sembrare restrittiva. In realtà la scelta di descrivere solo questo dipende dal fatto che gli altri, tra cui il più famoso è quello di Pogson, sono molto simili a questo, ma presentano una minore affidabilità ed errori maggiorati, quindi mi è sembrato opportuno fare cadere la scelta solo ed esclusivamente su questo.
Inoltre si tratta del metodo più usato dalla comunità internazionale, quindi le osservazioni ottenute con questo metodo sono certamente confrontabili con quelle di altri osservatori sparsi nel mondo.
Alcune volte mi è stata posta una domanda a cui voglio dare una risposta adesso nel caso sorgesse in seguito: Perché non si esegue una stima di magnitudine diretta, mediando cioè la luminosità della variabile con due o più confronto presenti nel campo?
La risposta è molto semplice. La risposta del nostro occhio alle sollecitazioni luminose ha un andamento logaritmico, mentre noi daremmo alle variazioni di un oggetto un andamento lineare. Proprio per questo esiste il metodo di Argelander: per dare alla nostra osservazione una base logaritmica, estrapolata dalla formula risolutiva che in seguito vedremo.
Una volta posto l'occhio al telescopio si passerà alla stima vera e propria: considerando una stella più luminosa della variabile che si intende seguire ed una più debole si dovrà stimare secondo i criteri che seguiranno la luminosità della stella.
Ci si dovrà basare su di un numero, chiamato gradino, che sarà indice della differenza di luminosità tra la confronto più luminosa e la variabile e la confronto più debole e la variabile.
I gradini verranno scelti secondo i seguenti criteri:
0 gradini: La confronto e la variabile appaiono di uguale luminosità anche dopo un approfondita osservazione protesa nel tempo (qualche minuto).
1 gradino: Le due stelle sono apparentemente uguali e solo dopo un'attenta osservazione prolungata è apprezzabile una lieve differenza di luminosità.
2 gradini: A prima vista le due stelle appaiono ancora identiche ma subito dopo ci si accorge, senza esitazione, di una leggera differenza.
3 gradini: Fin dal primo momento è apprezzabile una piccola differenza di magnitudine.
4 gradini: Già dal primo sguardo esiste un'evidente differenza di luminosità.
5 gradini: Esiste una notevole sproporzione tra le due stelle.
Sarà compito dell'osservatore scegliere le stelle di confronto più adatte per una stima. Si tenga presente che ogni stella seguita da importanti programmi dei variabilisti possiede una fornita sequenza di stelle di confronto che permettono così di lavorare nel migliore dei modi. E' comunque buona norma lavorare sempre con una differenza di luminosità che sia compresa tra i due e i tre gradini. Se questo non fosse possibile, non è un problema.
Una volta eseguita, la stima questa verrà scritta nel modo che segue:
A(x)V(y)B
Dove A e B sono le stelle di confronto (A più luminosa, B più debole della variabile) e x e y sono i gradini tra A e V e V e B rispettivamente.
La magnitudine dedotta - A questo punto è possibile ricavare, dalla nostra stima, il valore da noi osservato di magnitudine della variabile. Il calcolo della stima avverrà secondo l'equazione
MV = MA + [x/(x+ y)](MB -MA)
Non ci si lasci spaventare dalla formula: tale calcolo è più
difficile a scriversi e a leggersi di quanto poi si riveli nella pratica
anche solo dopo pochissime applicazioni.
B - L'aggiustamento della sequenza personale.
Come già detto, la diversa fisiologia e psicologia dell'apparato visivo di ciascun osservatore, differenze nel trattamento ottico dei telescopi, differenze nei modelli dei telescopi stessi, ed altri effetti su cui non ci soffermeremo, fanno sì che ciascun osservatore visuale abbia di una variabile e delle sue stelle di confronto una visione diversa, anche di qualche decimo di magnitudine, da quella di un altro osservatore. Si rende quindi necessario fare in modo che le stime ottenute da diversi osservatori con diversi strumenti possano essere modificate in maniera che queste siano direttamente confrontabili. Il metodo esiste e prende il nome di "Aggiustamento della sequenza personale" e serve essenzialmente a rendere il più possibile omogenee le misure ottenute da diversi osservatori ed anche ad ovviare ad errori ed incompletezze della cartina stessa.
Il metodo che segue parte, comunque, dal presupposto di aver utilizzato almeno tre stelle di confronto per poi ottenere una retta interpolante della magnitudine delle tre stelle.
Il primo passo consiste nel calcolare lo scarto medio, in gradini, fra coppie di stelle di confronto successive.
Consideriamo il seguente esempio:
A(3)V(2)B, A(5)V(1)B, A(5)V(1.5)B, A(4)V(2)B, A(3)V(2.5)B, A(2)V(4)B
B(2)V(2)C, B(4)V(1)C, B(3)V(1.5)C, B(3)V(2)C, B(4)V(0.5)C, B(5)V(0.5)C.
Gli scarti medi tra le coppie A-B, e B-C saranno:
SAB = (5 + 6 + 6.5 + 6 + 5.5 + 6)/6 = 5.8
SBC = (4 + 5 + 4.5 + 5 + 4.5 + 5.5)/6 = 4.8
Ogni numero altro non è che la somma di x e y per singola stima.
La formula generale è, quindi:
S = (S(xi + yi))/n
Dove n è il numero di stime su cui viene eseguito il calcolo.
Per riportare la scala personale consideriamo cinque stelle che hanno le seguenti magnitudini:
A = 6.5, B = 7.0, C = 7.4, D = 8.3, E = 8.6,
alle quali sono già stati calcolati gli scarti medi, che andranno considerati come la differenza media in gradini tra due stelle successive:
A(SAB)B(SBC)C(SCD)D(SDE)E
Che, nel nostro esempio, valgono:
6.5(6.30)7.0(4.30)7.4(6.51)8.3(4.80)8.6
Successivamente calcoliamo i gradini relativi a ciascuna stella partendo ovviamente dal presupposto che la A, non essendo direttamente stimabile rispetto alle altre ha valore 0.
Per le altre stelle si procederà sommando tutti gli scarti compresi tra la stella in esame e la A, ottenendo così una sequenza di stelle di cui conosciamo sia la magnitudine sia la differenza in gradini tra l’una e l’altra.
Sarà così:
B = (0 + 6.30) = 6.30
C = (0 + 6.30 + 4.30) = 10.60
E così via per le altre stelle di confronto. Otterremo così una scala come segue:
Stella Magnitudine Gradino
A 6.5 0
B 7.0 6.30
C 7.4 10.60
D 8.3 17.11
E 8.6 21.91
A questo punto dovremo tracciare un diagramma cartesiano che riporta in ascissa i gradini ed in ordinata la magnitudine visuale dell’astro.
Se le magnitudini delle stelle osservate fossero uguali a quelle riportate nella cartina, allora tutte le stelle si distribuirebbero su una retta, ma, dato che così non è ne in questo caso, ne mai (tranne che in un vero e proprio colpo di fortuna) si renderà necessario il calcolo della miglior retta interpolante i punti stessi mediante il metodo dei minimi quadrati.
L’equazione di tale retta sarà:
y= a + ux
dove a è la magnitudine della stella di confronto più
luminosa, u è il valore medio del gradino per l’osservatore
in questione.
I nostri a e u si calcolano tramite le formule:
(Sy)(Sx2)
– (Sx)(Sxy)
a = --------------------------
NSx2 – (Sx)
2
NSxy
- (Sx)(Sy)
u = --------------------------
NSx2
– (Sx)2
Dove:
Sx è la somma complessiva dei gradini (nel nostro esempio, 0+6.30+10.60+17.11+21.91= 55.92).
Sx2 è la somma dei quadrati dei gradini (nell’esempio 0+39.69+112.36+292.75+480.048=942.85).
Sxy è la somma dei prodotti della magnitudine visuale della stella per il rispettivo gradino (nell’esempio, 6.5*0+7*6.30+7.4*10.6+8.3*17.11+8.6*21.91=452.979).
Sy indica la somma delle magnitudini delle stelle di confronto (nel nostro caso Sy = 37.8)
N è il numero di stelle di confronto utilizzate (nel nostro caso
5)
Applicando le formule per il calcolo di a e di u con i numeri forniti dal nostro esempio otterremo la seguente equazione della retta interpolante:
y = 6.43 + 0.101x
Sostituendo a x i valori dei gradini delle altre confronto otterremo per le nostre stelle le magnitudini visuali così come il nostro occhio le ha viste attraverso il telescopio, o lo strumento in genere utilizzato.
Abbiamo già visto che per A la nuova magnitudine visuale è 6.43 (prima era 6.5, ricordate), calcoliamo le magnitudini delle altre stelle (tra parentesi il vecchio valore per un immediato confronto):
B = 7.1 (7.0) C = 7.5 (7.4) D = 8.2 (8.3) E = 8.6 (8.6).
Queste nuove magnitudini così ottenute serviranno per ricalcolare la nuova magnitudine visuale della stella variabile tramite la ben nota formula per la magnitudine dedotta.
Come è facile notare, le magnitudini ora ottenute non coincidono
con quelle fornite dalla nostra sequenza di confronto, e la differenza
può essere vista ancora più facilmente se si confrontano
le
Fig. 1
– Magnitudini delle stelle di confronto prima (quadratini) e
dopo il trattamento della sequenza personale.
le due serie nel grafico sopra riportato. In alcuni casi, ad esempio A e C (1 e 3 nel grafico), la differenza di magnitudine prima e dopo il trattamento varia di diversi decimi.
Ma tale variazione non deve preoccupare, in quanto i dati di cui si
dispone, a meno che non siano stime di qualità alquanto scadente,
non dovrebbero variare in maniera molto vistosa.
C – Il Decalage sistematico.
Come già detto, capita molto di frequente che due osservatori non possano confrontare direttamente i loro lavori fotometrici principalmente perché non è stato presi alcun accorgimento (come, ad esempio, il calcolo della sequenza personale) utile e perché il nostro occhio risponde in maniera diversa alle sollecitazioni dei vari colori. Eppure in astronomia è sempre importante avere qualcuno con cui, prima o poi ci si debba confrontare.
Nel caso della fotometria visuale il problema del confronto è un vero e proprio dilemma. In genere l’andamento di variazione di una stelle viene sempre ripreso da ciascun osservatore, e questo è abbastanza simile a quello di un altro. Non è così, invece, per quel che riguarda la variazione in
luminosità della stella. Questa può apparire maggiore o minore a seconda dell’osservatore, e questo non è imputabile ad un errore vero e proprio di chi osserva, ma, come già accennato, da una serie di fattori (risposta strumentale, sensibilità cromatica dell’occhio, sequenza di stelle di confronto diversa, ecc. ecc.) che ne "falsano" la stima.
Per rendere il più possibile omogenee le stime di diversi osservatori (da due in su, senza limitazioni…) si applica il così detto Decalage sistematico che non è altro che una correzione della discrepanza che vi è tra una curva di luce ed un’altra.
Anche in questo caso ci faremo aiutare da un pratico esempio.
Consideriamo quattro osservatori che abbiano ottenuto per un certo periodo delle osservazioni di una certa stella variabile (fig.2). Al momento del confronto dei dati, però, pare che la stella abbia subito delle variazioni diverse tra osservatore ed osservatore. Di ogni osservatore si esegue la media della magnitudine osservata (la somma di tutte le stime diviso il numero delle stime stesse). Nel nostro caso, supponiamo, i nostri osservatori otterranno:
A = 6.71 B = 6.40 C = 6.90 D = 6.16 .
Ci si chiede come sia possibile ottenere una curva unica partendo da osservatori che, mediamente, abbiano osservato una stella con uno shift che raggiunge (nel caso peggiore) una magnitudine.
Un grave errore sarebbe quello di eseguire una media indiscriminata di tutte le stime per un determinato intervallo di tempo. Il risultato che ne verrebbe fuori sarebbe un grafico assolutamente strano e sicuramente non somigliante a nessuno dei quattro grafici precedenti.
Per ottenere un'unica curva di luce bisogna prima di tutto stabilire quale è la magnitudine media a cui sembra essersi attestata la variazione della stella in esame. Per ottenere questo bisognerà fare la media delle medie ottenute precedentemente dai quattro osservatori. Nel nostro caso MABCD=6.65.
A questo punto sarà necessario calcolare il decalage osservatore
per osservatore rispetto alla media complessiva appena ottenuta.
La formula generale è:
Dmi = MABCD - mi
Nel nostro caso per i diversi osservatori sarà:
DmA = (6.54 – 6.71) = -0.17
DmB = (6.54 – 6.40) = 0.14
DmC = (6.54 – 6.90) =-0.36
DmD = (6.54 – 6.16) =-0.38.
Questi valori sono le correzioni che ciascun osservatore dovrà aggiungere o sottrarre (basta guardare il segno) a tutte le propri stime.
Il grafico che si otterrà sarà molto simile e confrontabile
a quello di tutti gli osservatori, eccezion fatta per la variazione di
magnitudine, che sarà più o meno distante dai valori estremi
ottenuti da certi osservatori.
D – Uso delle effemeridi di stelle variabili.
Questione spinosissima. La difficoltà riguardante i calcoli sulle effemeridi delle stelle variabili, all’apparenza risulta davvero complicatissima. Ma lo è solo all’apparenza. Bisogna considerare, prima di tutto che si lavora con numeri sempre molto alti (i giorni del Calendario Giuliano), e che i calcoli devono essere ripetuti, se non si dispone di un computer con relativi software, numerosissime volte.
Prendiamo in esame la stella d Cephei, stella variabile prototipo dell’omonima classe di stelle che viene, in genere consigliata a tutti coloro che volessero iniziare lo studio delle stelle variabili.
Per ogni stella di cui si disponga di una relativa cartina di identificazione con tutte le stelle di confronto comprese di magnitudini proprie, si noterà che vi sono riportati, da qualche parte, dei numeri che, a chi conosce la notazione relativa al calendario Giuliano, saranno familiari.
Nel caso della stella da noi prescelta sarà:
Eff. Max = 2436075.445 + 5.366341
Che letta correttamente diventa:
Effemeride di riferimento del Massimo uguale 2436075.445 (tale numero altro non è che una data) ed ogni altro massimo si verificherà ogni 5.366341 giorni (questo numero, quindi, identifica il periodo).
Volendo fare un esempio immediato, consideriamo la data 04/12/1997, che tradotta in Giorni Giuliani (G.G. oppure J.D.) è 2450787.Consideriamo, inoltre l’ora a cui vogliamo far corrispondere il calcolo, ad esempio la mezzanotte, e cominciamo.
Prima di tutto bisogna dire (cosa importantissima) che un G.G. non comincia alla mezzanotte del giorno in esame, bensì a mezzogiorno. Quindi dato che noi stiamo riferendo il nostro calcolo alla mezzanotte sarà passata esattamente mezza giornata dall’inizio del nostro G.G. quindi scriveremo, in aggiunta 2450787.5 (le ore nei G.G. non sono in genere riportate per rendere più semplice il posizionamento in un grafico, quindi da ora in avanti abbandoneremo le ore e lavoreremo con le frazioni di un giorno).
Per ottenere la situazione di una stella variabile periodica (sapere, cioè, a quale fase si trova per quel dato istante) bisogna applicare la seguente formula:
S = (D – E)/P
Si otterrà un numero, nel nostro caso S = 2741.543, che si dividerà in due diversi significati. Il numero intero (2741) altro non sarà che il numero di massimi compiuti dalla data di riferimento dell’effemeride. Il numero dopo la virgola (0.543) è la fase del periodo a cui si trova la stella (ricordando che j = 1= 0 è quando la stella ricomincia un nuovo periodo, nel riferimento all’effemeride della stella in questione è al massimo, e j = 0.5 quando la stella si trova a metà periodo che nel nostro caso coincide con il minimo ma con alcune stelle variabili, tra cui quelle ad eclisse, coincide con il minimo di luminosità).
Questo servirà per ottenere un grafico in cui in ascissa sarà posta la fase ed in ordinata la magnitudine visuale. Questo tipo di curva di luce si rende spesso utile in quanto è possibile riportare stime ottenute in periodi diversi in un’unica curva che, apparentemente riporta un solo periodo ma che, in realtà, riporta le stime ottenute a fasi diverse di diversi periodi.
Quindi ricordarsi di eseguire il calcolo di cui sopra (dove, lo ricordiamo
D è la data del giorno su cui è eseguito il calcolo, E è
l’effemeride e P è il periodo) per tutte le stime per ottenerne
la fase che poi sarà riportata sia sulla tabella riassuntiva, sia
nel grafico.
E – La correzione eliocentrica.
La correzione eliocentrica è quella determinata quantità di tempo da aggiungere o sottrarre dal tempo ottenuto della propria osservazione per rendere le stime paragonabili con i tempi di un unico sistema di riferimento.
Il motivo per cui viene introdotta la correzione eliocentrica è abbastanza semplice. Consideriamo una qualsiasi stella di una qualsiasi costellazione del cielo. La terra orbitando attorno al Sole si allontana e si avvicina (questo dipende dalla stagione) anche dalla stella. A questo punto il lettore si chiederà quanto poco possa influire uno scarto di circa 300 milioni di chilometri su distanze dell’ordine delle decine, centinaia e anche più anni-luce. La risposta è semplice. Se la luce dal Sole alla Terra impiega poco più di otto minuti, da un punto all’altro dell’orbita ne impiegherà circa il doppio. Questo tempo sarà avvertito anche sulle stime, e potrebbe causare errori sistematici che potrebbero avere proprio l’ordine di tempo prima citato. Per ovviare a questa situazione, tutti i tempi vengono presi con il Sole al centro del sistema di riferimento, così anche le effemeridi delle stelle sono calcolate con i tempi eliocentrici.
La formula per il calcolo della correzione eliocentrica è la seguente:
CE = -0.0057755*[Rcosq*(cosa*cosd+Rsinq(sine*sind+cose*cosd*sina)]
Dove:
R = distanza Terra – Sole in U.A. (può essere approssimata a 1).
Rsinq = Dagli almanacchi
Rcosq = Dagli almanacchi
e = 23.45°
a = A.R. della stella
d = Dec. Della stella.
Si otterrà comunque un numero molto piccolo (la frazione di giorno
da aggiungere o da sottrarre al tempo della stima) che comunque a conti
fatti (soprattutto se il periodo della stella è breve o se si osserva
il minimo di una stella ad eclisse) sarà molto utile ai fini del
calcolo degli errori nella curva di luce.
Fabio Salvaggio.
Per qualsiasi informazione o chiarimento contattare Fabio Salvaggio oppure il coordinatore della SSV – UAI Angelo Frosina all’indirizzo e-mail mc7684@mclink.it.